Sono passate molte settimane dall’inizio dell’emergenza che tutti conosciamo. Il popolo è stanco. Stanco di un tema affrontato, certo, ma restrittivo e come ogni restrizione, è frustrante. Al di là dell’adeguatezza delle misure certamente necessarie, della gestione, delle politiche e del ruolo delle istituzioni, dobbiamo osservare la condizione individuale di oggi.
Essa ci dice né più nemmeno che gli individui sono diventati insofferenti per il crollo che si è fatto registrare in ogni settore della vita sociale. Quello economico, quello gestionale e quello che riguarda il futuro dell’intero paese. È certamente un paese ed un mondo occidentale, stanco se non esausto e troppo facilmente viene il dubbio che non lo fosse già da prima della pandemia. Che già da prima di tutto quello che è avvenuto in questi mesi, di proporzioni senza precedenti nelle nostre generazioni, abbia messo in evidenza una società occidentale in cui la gran parte dei suoi componenti arranca per mantenere il ritmo incessante a cui costringe.
Come sempre nella situazione di crisi si notano con evidenza eccezionale tutte le difficoltà, amplificate da una circostanza conclamata e di dimensione planetaria; in essa sono affiorate ed affiorano le difficoltà consumistiche che in momenti normali appaiono attenuate e controllabili.
È adesso che affiorano i pericoli delle disparità sociali e delle crepe ambientali, collegate tra loro da un filo economico ed industriale, che rende difficile ogni intervento umanitario, assistenziale e semplicemente “logico”. Soprattutto emergono i più grossi pericoli che corrispondono alla perdita della speranza di equilibrio che avevamo in passato reperito in una illusione economica.
Ma l’economia non sostituisce la gestione della politica; sono le macerie di aver creduto all’illusione di una lotta economica in cui vincesse la logica di Wall Street.
Che l’individuo sia fin troppo costretto ad una frenesia incessante è vero sta di fatto che questo è il mondo che conosciamo e lo si vede dissolto un pezzo alla volta. È la mancanza di fiducia il vero grande nemico di questo Occidente che oggi si sveglia a malapena un giorno dietro l’altro e trova macerie tutti intorno.
Solo macerie senza che si sappia rianimare dopo una volta di più si trova impotente rispetto alla inevitabile impossibilità di sopravvivere alla vita. Tutto è stato impiantato come se potessimo essere quasi eterni è quello che può prevalere è il possesso.
Di cosa è figlio questo disastro? Di un virus? Certamente Sì, ma non è solo quello il danno che abbiamo di fronte: si tratta di una società che ha spinto fin troppo la competizione, che Consente quasi tutto ma contemporaneamente costringe a ritmi fuori da ogni limite e ben lontani da una dimensione umana.
Dunque, oggi torniamo in possesso dei nostri arnesi per ricominciare, ma nella mente e nella psicologia di ognuno rimangono dei grandi dubbi. Aver toccato quanto sia semplice deragliare da una condotta di vita che da una parte consente moltissimo, dall’altra chiede altrettanto o forse di più. Chiede forse quello che non sa dare e che costringe in effetti al lavorare di giorno in giorno o di mese in mese senza avere alcun margine.
È così che bastano tre mesi per fermare l’Occidente beato nelle sue certezze che ieri sono scomparse.